manifestazione 17 maggio – appello


alle
cittadine e ai cittadini veronesi
alle ragazze e ai ragazzi,studentesse e studenti,
i primi ad
essere coinvolti
in questa tragedia,
alle migranti e ai migranti, i nuovi cittadini,
che conoscono
bene
parole come intolleranza e razzismo,
alle tante realtà formali ed informali
che da tutta italia
hanno
espresso indignazione e solidarietà

Sabato
17 Maggio 2008

MANIFESTAZIONE

concentramento
Stazione Verona Porta Nuova ore 14.00

partenza
corteo dalla Stazione Verona Porta Nuova ore 15.00

Nicola è
ognuno di noi

Per
sconfiggere insieme la paura.
Scendiamo in piazza per svegliare una città che troppe volte ha girato
la
testa. Non deve farlo questa volta.
Non deve farlo mai più.
Mobilitiamoci e riprendiamo la parola prima che l’ipocrisia riscriva
anche
questa storia.

Per una
Verona libera dalla paura e dall’odio,
per una Verona libera da vecchi e nuovi fascismi,
per una città libera dall’intolleranza, dal razzismo, dall’ignoranza.
Perché esiste una Verona coraggiosa, aperta, indignata.
Perché guardarsi all’interno, riconoscere il male profondo del nostro
tempo e
della nostra città è crescere.
Liberi.

Costruiamo
assieme un corteo che attraversi e viva la città
in una giornata aperta alle iniziative e ai contributi positivi di
tutte e
tutti.

Nel 2008 a
Verona si muore ancora di fascismo.

Al posto
di Nicola poteva esserci ognuno di noi.

________________________________________________________
Assemblea cittadina promotrice della manifestazione
per adesioni: adesioni17maggio@gmail.com
________________________________________________________

Vorremmo
che il corteo venisse aperto dalle ragazze e dai ragazzi della città,
dagli
abitanti della Valpolicella e da tutti quelli che a Nicola erano
vicini, loro i
volti loro le voci a pretendere che mai più si ripeta

Vorremmo
che seguissero i migranti, di Verona e non solo, con loro dobbiamo
costruire
una città diversa

Vogliamo che sia un corteo assolutamente pacifico e determinato da
un’unica modalità
ed un unico obbiettivo comune: parlare e comunicare alla e con la città
per non
dimenticare un ragazzo ucciso dall’odio e dall’ignoranza.

Invitiamo tutte e tutti a costruire insieme la giornata, a partire
dall’assemblea cittadina

che si
terrà a verona

martedì
13 maggio alle 20.30,

in sala
Lucchi (accanto allo Stadio).

E’ la
città ad essere protagonista della giornata del 17 maggio,
con il supporto e il contributo delle realtà antirazziste e
antifasciste,
perché solo la città può cambiare se stessa

Assemblea cittadina promotrice
 

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3 Responses to manifestazione 17 maggio – appello

  1. bart says:

    la solita manifestazione politicizzata
    bah

  2. benjamin says:

    Eppur bisogna andar…
    di Marcello Tarì

    Fischia il vento a Verona ma di certo non infuria, almeno non ancora, nessuna bufera. Il filo di un ragionamento pubblico appena possibile su cos’è oggi il fascismo nel quale viviamo ci viene per paradosso consegnato da un giornale padronale e moderato come «Repubblica», dove Giuseppe D’Avanzo prova a «chiamare le cose con il loro nome» [1] Perché la verità è che oggi si fa fatica a dire che in Italia spira un vento di destra che uccide e che questo vento si nutre non tanto degli istituti rappresentativi della politica – che ne sono solamente il riflesso spettacolare – ma di una “società civile” che per un lato è imbelle e dall’altro è fascista, dove anzi una parte rafforza l’altra. E questo succede a Verona come a Roma, al Nord come al Sud, ed anche se è vero che vi sono dei picchi di intensità che definiscono alcuni territori in modo più specificamente fascista di altri, è evidente che il tono dominante è comune nonostante le piccole isole di resistenza e le foreste invisibili in cui si sperimentano forme-di-vita libertarie e autonome. Ma non siamo certo in quel momento in cui ogni contrada è patria del ribelle.
    Attenzione però, non è questione di ideologia, la quale è sempre qualcosa di trascendentale e dunque ineffettuale, ma di comportamenti, gesti, tic, passioni, stili di vita e di pensiero, di pratiche quotidiane e di esercizio di potere che ci dicono che una forma di vita fascista oggi in Italia è presente, diffusa e protetta (sull’altro giornale padronale, il «Corriere della Sera», infatti ci è toccato leggere un articolo estremamente comprensivo verso i nazi in carcere).
    Non che il fascismo sia una questione solo italiana, ovviamente, il problema è che in Italia sembra non vi sia capacità di posizionarsi conseguentemente. Lo scorso 1° maggio ad Amburgo il partito neonazista (NPD) voleva marciare sulla città ma 10.000 antifascisti hanno scatenato una guerriglia urbana di un giorno intero per impedirglielo, mentre molta gente era affacciata alle finestre con i cartelli Nazi raus. Si parla tanto di territori in modo banale in questi giorni e non ci si rende conto che non è aderendo alla cartografia esistente che si ha possibilità di creare altro, bensì facendo proliferare altri territori che siano del tutto incompatibili con ciò che è. Perché il fascismo è un fenomeno politico e come tale va affrontato: con il cuore e il braccio forti nel colpir…
    Negare o minimizzare il fatto che Nicola Tomassoli sia stato assassinato da un gruppo di neonazisti cresciuti ed educati in un ambiente fascista allargato e che dunque sia a tutti gli effetti un omicidio politico – una minimizzazione che in questi giorni viene proferita da molte parti, perfino nelle parole di qualche esponente dei centri sociali – vuol dire non solo precludersi la comprensione del tempo che viviamo ma, in sovrappiù, rendere quella morte ancora più assurdamente inutile, riconsegnare quel corpo al suo essere morto in quanto nuda vita. Dire che la politica non c’entra nulla con quella aggressione omicida e che si tratterebbe invece di un episodio di un non meglio individuato malessere psichico-antropologico, del genere a cui la cronaca nera del Nordest ci ha abituato, vuol dire cioè non riconoscere la politicità specifica di ciò che accade attualmente in modo continuo e diffuso e cioè che «la posta in gioco oggi è la vita» (Foucault). Solo a partire da ciò, tra l’altro, è possibile comprendere cos’è il biopotere nei suoi effetti più quotidiani. Altrimenti ogni volta che si cita quel concetto si fa davvero filosofia da salotto o, peggio, un opinionismo ammantato di esoteriche nozioni che servono solo a spettacolarizzare l’enunciato: l’accademismo foucaultiano è purtroppo moneta corrente da un po’ di tempo a questa parte. Biopotere oggi, significa anche e soprattutto che non solo, come è successo in passato, si dà la morte a determinate categorie di esseri sociali ma che chiunque reca in sé il segno della sua possibile uccidibilità. In alcuni territori, appunto, basta un piccolo gesto fuori-luogo, una piccola sbavatura nel linguaggio, una variante quasi impercettibile del corpo per divenire homo sacer ed essere messi a morte materialmente ma la verità è che ovunque, nella società civile, sì può continuamente sperimentare questa regolamentazione biopolitica del sociale in via simbolica.
    La verità è che a Verona vi è l’egemonia di una forma di vita nazifascista che di fatto informa di sé la società dall’alto al basso e che si regge esattamente sull’esercizio puro ed estremizzato di un biopotere che si mostra, come nel nazifascismo storico, nel taglio violento che i poteri esercitano sul corpo sociale per produrre ciò che si immagina e si desidera come un popolo unico e indiviso. Chiunque non voglia o non possa integrarsi in quella immagine “rischia la vita”, in questo senso, proprio perché gli è riconosciuto un valore politico, ovvero l’incarnare una differenza pericolosa per l’integrità della fantasiosa comunità organica di cui a Nordest (e non solo) si favoleggia in svariate maniere. Dalla nonnina razzista al giovane naziskin e dal prete antigay al leghista anti-immigrati corre una solidarietà che oltrepassa qualsiasi partizione ideologica per fondersi in una immaginaria comunità fatta di sangue, suolo, schei e piccole e medie imprese che trovano nelle istituzioni municipali e governamentali la loro rappresentazione politica. La lotta di classe che la piccola borghesia planetaria esercita ovunque, qui si mostra come iperfascismo del quotidiano.
    In fin dei conti, se davvero vale la massima benjaminiana in cui si dice che lo stato d’eccezione è divenuto la regola, non ci si dovrà stupire poi tanto che sempre più spesso appaia la nuda vita come ciò che è esposto a una violenza che tanto più è anonima e quotidiana e tanto più mostra l’esercizio diffuso di un biopotere di cui essa costituisce il nesso segreto.
    Il problema e la sfida allora non è ricostruire la società civile bensì rendere evidente la sua finzione, non serve indignarsi del fatto che da anni e anni viviamo sotto il tallone di leggi securitarie palesemente anticostituzionali bensì serve organizzarsi contro di esse, non c’è da reagire moralmente davanti all’irruzione di una notizia come un omicidio fascista ma comprendere la strategia che la/lo guida e tracciare dentro quel campo le coordinate etiche di una resistenza. Serve cioè tracciare i segni che possano mostrare il campo sociale per ciò che è: un campo di ostilità dispiegate. Uno spazio biopolitico in cui oramai è palese la presenza di una guerra civile nella quale non sappiamo più piangere i nostri morti perché non si è più capaci di riconoscerli come vittime di un conflitto politico. E se è a partire da questa neutralizzazione che il biopotere si esercita è proprio dal suo opposto, dal sentire la passione della libertà, coltivando le sue intensità pratiche e rivoltandole contro la totalità del dominio, che potremo organizzare la nostra resistenza.
    Che in questa notte, ancora una volta, ci guidino le stelle.

    [1] http://www.repubblica.it/

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